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  • di Mauro Luigi Navone

Corte Costituzionale: le funzioni


Il controllo di costituzionalità delle leggi.

Abbiamo sin qui descritto la "macchina" della Corte costituzionale; illustriamo ora più da vicino i suoi compiti che, come abbiamo visto, sono indicati in termini generali dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali. Il primo e storicamente più importante è il compito di decidere le controversie «relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni» (articolo 134, prima parte, della Costituzione). La Corte è chiamata a controllare se gli atti legislativi siano stati formati con i procedimenti richiesti dalla Costituzione (cosiddetta costituzionalità formale) e se il loro contenuto sia conforme ai princìpi costituzionali (cosiddetta costituzionalità sostanziale). Atti legislativi: dunque leggi dello Stato, ma anche decreti legislativi delegati (deliberati dal Governo su delega delle Camere) e decreti-legge (adottati in via d'urgenza dal Governo e sottoposti alla conversione in legge da parte delle Camere); ed anche leggi delle Regioni e delle Province autonome, le quali, nel nostro sistema costituzionale, dispongono di una propria potestà legislativa. Non sono invece soggetti al controllo della Corte, sotto questo profilo, gli atti normativi da considerare subordinati alla legge, come i regolamenti: tali atti sono soggetti al controllo di legittimità (cioè di conformità alla legge) svolto dai giudici comuni. Poiché la legge deve essere conforme alla Costituzione e i regolamenti devono essere conformi alla legge, anche questi ultimi risulteranno conformi alla Costituzione, senza bisogno che siano sottoposti al controllo della Corte costituzionale.

Chi può provocare il giudizio della Corte?

Uno dei problemi più discussi a proposito della funzione della Corte costituzionale quale giudice delle leggi, è stato quello della "via di accesso" al giudizio. Come in genere ogni giudice, la Corte non può decidere autonomamente di quali questioni occuparsi: occorre che qualcuno la investa proponendo un ricorso o sottoponendole un dubbio. Chi può chiedere alla Corte di pronunciarsi sulla costituzionalità di una legge? Qualunque cittadino, il Capo dello Stato, il Governo, minoranze parlamentari, organi giudiziari? L'Assemblea costituente, quando giunse ad esaminare il problema, non lo risolse ma rinviò la soluzione ad una successiva legge costituzionale, che fu approvata come già detto dalla stessa Assemblea nel febbraio 1948 (legge costituzionale n. 1 del 1948). In essa si stabilì (articolo 2) fermo il disposto dell'articolo 127 della Costituzione, che prevedeva l'impugnativa davanti alla Corte costituzionale, da parte del Governo, delle leggi regionali reputate contrastanti con la Costituzione che anche le Regioni potessero a loro volta impugnare, entro un breve termine dalla loro pubblicazione, le leggi dello Stato che reputassero lesive della propria autonomia garantita dalla Costituzione. Quel disegno è ora confluito nel nuovo testo dell'articolo 127 della Costituzione, con le modifiche del titolo V della parte II, introdotte dalla legge costituzionale n. 3 del 2001. In tali casi il giudizio costituzionale serve essenzialmente a risolvere le controversie fra Stato e Regioni sui limiti delle rispettive competenze, e quindi sia a difendere l'autonomia delle Regioni da "attentati" del legislatore statale, sia a presidiare il potere legislativo statale da eventuali abusi dei legislatori regionali. Tutto questo si svolge nella logica dello Stato "regionale", in cui è la Costituzione a ripartire le competenze fra Stato e Regioni, con la Corte costituzionale che funge da "arbitro" nelle relative controversie. Ma, soprattutto, l'Assemblea costituente ha fatto una scelta fondamentale per quanto riguarda il sistema generale di controllo della costituzionalità delle leggi, escludendo che queste possano essere direttamente impugnate davanti alla Corte a opera di qualunque soggetto, e prevedendo invece che i dubbi di costituzionalità delle leggi possano essere sollevati solo in occasione della loro applicazione da parte dei giudici comuni. Quando cioè un giudice qualsiasi autorità giudiziaria, dal giudice di pace di una piccola città o dalla commissione tributaria di una provincia fino alla Corte di cassazione, e perfino gli arbitri rituali si trovi a dover risolvere una controversia, per decidere la quale dovrebbe fare applicazione di una norma di legge, e dubiti della conformità di questa norma alla Costituzione, egli ha il potere e il dovere di investire la Corte costituzionale della relativa questione. Il giudice non può decidere la causa come se la legge non ci fosse, ignorandola, anche se è convinto della sua incostituzionalità (in questo rimane l'antico divieto per il giudice di negare applicazione ad una legge in vigore); ma nemmeno è tenuto ad applicarla meccanicamente: dopo aver sperimentato il tentativo di una interpretazione "conforme" a Costituzione, deve invece proporre il dubbio di costituzionalità davanti all'unico organo che ha l'autorità per risolverlo, appunto la Corte costituzionale. Le vie di accesso alla Corte sono dunque tante quanti sono i giudici comuni, di qualunque grado. Si può dire, in sintesi, che nessun giudice è obbligato ad applicare una legge della cui costituzionalità egli dubiti, ma che solo la Corte costituzionale può liberarlo definitivamente dal vincolo, dichiarando l'illegittimità costituzionale della legge e così consentendogli di decidere la causa senza tener conto di essa. È questo il sistema di controllo di costituzionalità che viene detto "incidentale", perché la questione di costituzionalità di una legge sorge come "incidente" nell'àmbito di un processo comune, avente ad oggetto una qualsiasi materia controversa, ed è proposta alla Corte dal giudice di tale processo.

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