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Il Molise indipendente


I due referendum per l’autonomia veneta e lombarda si sono conclusi. Un trionfo in Veneto, un po’ meno in Lombardia. Comunque, un successo elettorale. Adesso, tutti si accorgono che c’è un problema.

Anzi, in verità, ce ne sono molti.

Primo: i referendum sono consultivi. Il Governo dovrà tenerne conto. Che farà? Sotto elezioni è difficile che si faccia qualcosa. Se ne parlerà alla prossima legislatura.

Secondo: la strada dei referendum consultivi è aperta. Già si approssimano Toscana, Puglia ed Emilia Romagna. E le altre?

Terzo: ci sono già Regioni a statuto speciale. Dopo più di settant’anni, sono un rottame istituzionale. Andavano abolite già da tempo. Dopo i referendum, avremo una seconda categoria di Regioni, quelle ad autonomia speciale. Poi, ci sarà la terza classe, quella con i vagoni di legno.

Quarto: se c’era un referendum da fare, da anni, era per abolire il CNEL e ridisegnare il sistema regionale, non quell’intruglio proposto da Renzi che è finito com’è finito.

Quinto: la parcellizzazione del Paese ha senso se c’è al centro un Governo forte, con poche competenze, ma chiare, ed un’amministrazione efficiente.

In sostanza, ora si dovrebbe aprire un discorso serio sulla struttura dello Stato italiano. Dopo un secolo e mezzo questo nostro Paese deve trovare una strada che tenga conto della realtà che ci circonda e che si evolve con estrema rapidità.

Le Regioni ricche non vogliono pagare per quelle povere. Un principio sacrosanto che, però, tradotto in più umili termini, significa che le Regioni povere o non sanno amministrare o hanno rubato. Quelli che sono mancati sono i controlli e, cioè, lo Stato.

Sotto la bandiera dello sviluppo del Mezzogiorno e delle aree depresse c’è stato di tutto. Inutile farne l’elenco. Basterebbe vedere ogni sera Striscia la notizia per tenere occupati tutti i Procuratori della Repubblica e della Corte dei Conti.

Molte sono le vergogne nazionali, ma quelle regionali superano ogni normale buon senso. È lo Stato attuale che non tiene più. Troppe collusioni, troppi silenzi, troppe procedure occhiute, defatiganti ed inutili.

La prima bestia nera delle Regioni ricche è lo Stato centrale, non le Regioni povere, perché amministra male, disperde ricchezza, è lento nel decidere, inutile nello stimolo, perverso nel chiedere, moroso per definizione nel dare. Hanno ragione.

Le Regioni povere, le altre, sono amministrate malissimo. Di chi è la colpa? Della classe dirigente che le amministra, collusa con i potentati locali, palesi od occulti o criminali, e con i politici che governano lo Stato centrale. Ciò che interessa sono le poltrone. Per averle, ci vogliono gli elettori. Gli elettori si pagano in mille modi. Altro che democrazia!

Il governo del popolo non è il populismo da strapazzo di cui si straparla in questi giorni. È un’altra cosa, espressione della volontà degli elettori. Ma se questi sono comprati, se questi sono traditi, se questi sono spremuti e addirittura si sottrae loro il diritto di scegliere i propri rappresentanti, poco danno e pochissimo contano. Ciò che conta è quante anime mi porti a votarmi.

Il sistema regionale attuale, salvo, forse, qualche eccezione, è marcio. Con le possibili conseguenze dei referendum si aggiungeranno altre difformità, ampliando i poteri locali. Peggio mi sento.

Passata la festa delle elezioni, il nuovo governo dovrà prendere una qualche decisione. Barricarsi dietro al fatto che la Costituzione vieta l’autonomia regionale in materia fiscale è come nascondere la faccia sotto al cuscino.Non serve: il problema è tutto lì.

La fiscalità nel Paese è, ormai a livelli troppo elevati perché la si possa aumentare. Occorre redistribuirla in modo sensato. Chi ha meno dovrebbe avere di più, ma deve amministrare al meglio le proprie risorse, non assumere dodicimila forestali per avere voti e, poi, piangere miseria.

Le Regioni del nord sono virtuose, si dice (anche se rubano anche lì), quelle centro meridionali, invece, sono troppo chiacchierate. Di virtù, meglio non parlarne. Mi ricorda un po’ quelle signore bene che non ricevevano in casa quelle separate o divorziate, ma magari, poi, andavano a letto con i loro mariti.

In fondo, questi referendum sarebbero una gran bella occasione o per fare una Confederazione italiana (come voleva il Gioberti) di mini Stati da operetta, magari sotto l’egida di Papa Francesco, tanto per strizzare l’occhio alla Chiesa, o per mettere mano a una riforma veramente seria di tutto il sistema regionale, evitando i conflitti di attribuzione e di competenza sempre più frequenti ed attribuendo alle Regioni le provincie, attualmente nel limbo in cui le ha lasciate la pseudo riforma di Renzi.

Ma, forse, è inutile illudersi. È in lista d’attesa un bel pasticcio alla romana dove ci mangeranno tutti di gusto.

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