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Il fallimento


Ad elezioni referendarie concluse, una volta tanto, è chiaro chi ha vinto. Il popolo si è espresso e la politica, ora, deve fare i conti con lo spettro che ha evocato.

Una differenza tra il 40 ed il 60% non è una sconfitta. È un disastro. Nel disastro è travolto anche il governo Renzi.

La risposta del Paese è stata inequivocabile: non toccate la Costituzione in funzione dei vostri interessi. È la seconda volta che il popolo dice di no. Gli va bene così, non vuole cambiamenti perché intuisce che saranno peggiori.

Il popolo non ha capito? Forse, ma la risposta è stata inequivocabile. In democrazia chi vince ha ragione, anche se chi vince non sempre governa. Tra l’altro, un’affluenza alle urne di quasi il 70% degli elettori dimostra che sulla questione costituzionale non si scherza. La disaffezione degli elettori è politica, non costituzionale.

Adesso, dopo un discorso di addio nobile e dignitoso del Premier, si aprono nuovi e complessi scenari.

Primo punto. Qualunque sarà la scelta del Presidente della Repubblica, sta di fatto che il PD è il partito di maggioranza alla Camera. Ogni scelta deve essere fatta con la sua partecipazione. Che poi il PD sia diviso e che adesso si affilino i coltelli per la resa dei conti fra renziani e non renziani, è un altro affare, ma senza il PD non si sciolgono le Camere né si fa una nuova legge elettorale.

Il PD è governato da un Segretario che, per recenti modifiche statutarie di partito, è anche il candidato presidente. Sempre Renzi. Se Renzi si dimette da Segretario del PD, in coerenza con le sue dimissioni da Presidente del Consiglio, occorrerà eleggere un nuovo Segretario candidato Presidente. Se Renzi non si dimette da Segretario, il nodo diventa inestricabile. Torna a fare il candidato presidente?


Secondo punto. Giustamente Renzi dice: chi ha vinto ha onori ed oneri. Tocca a chi ha vinto governare.

Purtroppo le elezioni referendarie non sono elezioni politiche. I vincitori sono tutt’altro che coesi e pronti, ma solo a parole, ad affrontare gli oneri. Tutti vogliono le elezioni o subito o subitissimo, solo Berlusconi, al solito, traccheggia. Vuole un tavolo di trattative. Il solito vecchio modo di fare politica: inciuci e ricatti.

Con quale legge elettorale? L’Italicum è sotto la mannaia della Corte Costituzionale. Anticipare le elezioni prima del verdetto sarebbe impensabile. Abbiamo già un Parlamento eletto con una legge dichiarata in parte incostituzionale. Vogliamo ripetere l’errore?

Manca una legge elettorale per il Senato. Potrebbe funzionare il cosiddetto Mattarellum. Nelle more della decisione della Corte si potrebbe aggiustare il tiro per la legge sul Senato. Dubito che si farà.

L’ipotesi più probabile è che i giudici della Consulta reitereranno le loro considerazioni negative sul premio di maggioranza. Si scivola verso una legge proporzionale, con una soglia di ammissibilità del 3 o del 4%. Finalmente, si potrebbero fare i conti su chi ha peso e chi non lo ha.


Terzo punto. 5Stelle vuole andare al voto con quello che c’è, ma solo dopo la Consulta. Sono sicuri di farcela, evidentemente.

Gli altri, non si sa cosa vogliano, ma se si deve discutere in Parlamento, occorre tener conto del PD. Quanto potrebbe durare il dibattito? Secoli, tanto per allungare la vita del Parlamento in modo che gli eletti possano fruire della pensione. Salvini e Fratelli d’Italia sono assolutamente contrari a questa ipotesi, ma chi dà loro ascolto?


Quarto punto. Tecnicamente, il governo Renzi è ancora in carica per l’ordinaria amministrazione. Il Presidente della Repubblica ha poche carte da giocare: o Padoan o Grasso (oppure un outsider, ma chi?) o sciogliere il Parlamento e seguire le indicazioni di 5Stelle per andare subito alle elezioni, sempre dopo la decisione della Corte costituzionale.

La crisi politica dovrà essere risolta rapidamente. Troppe scadenze sono prossime e tutte importanti, da quelle interne (legge sulla stabilità, banche, immigrazione) a quelle esterne (Unione europea).


Quinto punto. Lo straripante successo elettorale del NO dimostra solo una cosa: il Paese è spaccato, grazie a Renzi, ma una maggioranza massiccia è contro l’establishment che è al potere.

Non si tratta solo di Renzi, che ha infastidito più del dovuto, ma di tutto l’apparato dietro di lui che, salvo rarissime eccezioni, si è schierato al suo fianco, a partire dagli opinionisti, dai grandi giornali nazionali e dalle reti TV, dalla Confindustria, gli intellettuali, l’alta borghesia sopravvissuta alla crisi, il sistema bancario, la Boschi, la Boldrini e così via.

Questo insieme è stato spazzato via dal voto. Si ha un bel dire, sottovoce, che anche in Italia ha vinto il populismo. In realtà, ha perso la faccia il potere, quello palese e quello occulto.



Roma, 5 dicembre 2016.

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